Isolamento sociale non mi dispiace, devo preoccuparmi?

Isolamento sociale non mi dispiace, devo preoccuparmi?

Isolamento sociale: come hanno fatto molti ad adattarsi?

In questi giorni di quarantena, siamo stati chiusi in casa: per la nostra salute e per preservarla, il Governo ha deciso che fosse necessario limitare i nostri spostamenti e le situazioni di socialità, poiché rischiose e quindi probabili cause di un  contagio da Covid-19.

Ovviamente questo ci ha portato a stare molto tempo in casa, a isolarci dunque dal resto del mondo.

Ma questo isolamento sociale che cosa ha provocato nella maggior parte di noi? Ha portato solo sentimenti di ansia e paura, oppure c’è chi è riuscito tranquillamente a vivere queste giornate?

Isolamento sociale: quali reazioni?

Non possiamo negarlo: da un punto di vista psicologico siamo stati messi a dura prova, in questi mesi. Abbiamo dovuto rinunciare alle nostre azioni quotidiane, alle nostre abitudini, proprio in un momento in cui saremmo dovuti essere vicini alle persone che più amavamo.

È in questi momenti di pericolo che occorre avere accanto le persone che amiamo e che ci amano: la forza reciproca può dare una botta di vita necessaria, in quelle che possono essere delle circostanze piene di paura e ansia.

Eppure la maggior parte di noi non ha avuto accanto il proprio ragazzo, o la propria famiglia.

Quell’8 Marzo, la notizia è arrivata bella e chiara: i successivi giorni li avremmo dovuti passare in casa, indipendentemente da dove fossimo o da con chi fossimo. Ma ora che questi giorni sono passati e stiamo riprendendo, a poco a poco, la nostra vita sociale, cosa possiamo dire sulle conseguenze del Coronavirus, da un punto di vista psico-sociale?

L’isolamento sociale cosa ha creato in noi?

Una recente review pubblicata da The Lancet sull’impatto psicologico della quarantena ha richiamato l’attenzione sulle significative reazioni psicologiche indotte da questo isolamento, facendo riferimento all’aumento del livello di distress psicologico, all’insorgenza di sentimenti di paura, rabbia, svuotamento emotivo, disturbi del sonno e anche  lo sviluppo di una sintomatologia depressiva.

Insomma: non tutti sono riusciti a vivere bene queste giornate e questa ricerca ne è la prova. I soggetti maggiormente a rischio, ovviamente, come anche altri studi hanno confermato, non potevano che essere quelli con pregresse fragilità psichiche.

Ma in generale, l’uomo, perché può arrivare a soffrire, a causa dell’isolamento sociale?

Perché, come molti di voi sapranno, la capacità di instaurare relazioni ha giocato, sin da subito, un ruolo chiave nella sopravvivenza e nell’evoluzione della specie. Se pensiamo che essere in gruppo, facilitava l’accesso al cibo, poiché permetteva di tenere alla larga altri predatori, facilitando così la riproduzione, ci rendiamo conto di quanto appena detto sia vero.

Teniamo inoltre conto che stare con gli altri, presuppone anche lo sviluppo di capacità cognitive, sociali, perché è proprio grazie a queste che possiamo capire il comportamento altrui: questo non può che porre l’accento su una delle teorie del cervello che afferma come questo organo si sia sviluppato, nel e attraverso il rapporto con gli altri.

Non stupiamoci dunque, se l’isolamento sociale può arrivare a destabilizzarci.

Il nostro cervello è il frutto evolutivo della socializzazione, quindi il suo funzionamento non può che dipendere da questa.

Come afferma anche il dottor Stefano Clerici, psicologo, psicoterapeuta e coordinatore del Servizio di psicologia clinica della salute all’IRCCS Ospedale San Raffaele “in questo particolare momento storico dunque – essendo il bisogno sociale, di relazione con l’altro insito nell’uomo – è normale e legittimo avvertire il peso della distanza sociale, che viene percepita come una condizione assolutamente innaturale e fonte di stress psicologico.”

L’isolamento non mi spaventa: reazioni diverse

Molti di noi sono riusciti comunque ad andare avanti con la loro vita, senza avere ripercussioni di questo genere: se il 63% delle persone ha sviluppato questi sintomi, l’altro 27%, in teoria, non l’ha fatto; questo sta a sottolineare che comunque in molti sono riusciti a fronteggiare questo periodo di quarantena, senza avere delle ripercussioni. O almeno così potrebbe sembrare.

Come ci sono riusciti? Come mai alcuni di noi sono riusciti a vivere bene questo ingabbiamento?

Sicuramente coloro che hanno saputo far fronte a questo periodo hanno saputo mettere in atto dei comportamenti opportuni:

  • hanno saputo ricercare informazioni chiare e fondate rispetto alla natura del virus e ai possibili rischi,
  • hanno potuto utilizzare gli strumenti tecnologici al fine di preservare, se possibile, la loro attività lavorativa,
  • hanno saputo tener vivo il contatto con i propri cari o amici,
  • hanno saputo organizzare le loro giornate, senza dar spazio alla noia o tristezza,
  • hanno saputo svolgere attività piacevoli.

Insomma hanno saputo gestirsi e gestire il tutto facendo leva sulla loro resilienza, ovvero su quella capacità di riuscire a gestire le proprie difficoltà, nonostante tutto. Hanno saputo nutrire “in modo diverso” il loro cervello, che quindi è stato compensato, in altro modo.

Con l’interruzione delle proprie abitudini e della socialità, è arrivata, per molti, una nuova ripartenza e una nuova consapevolezza: seppur all’inizio l’isolamento sia stato percepito come una minaccia, da molti, alcuni sono riusciti ad avere un’altra visione della situazione.

Sono riusciti a vedere la loro casa, più che come una prigione da fuggire, come la propria “zona comfort”, in cui proteggersi.

A questo  proposito, diciamolo: chi è abituato ad avere relazioni sociali povere, questo non è certo stato un motivo di minaccia, anzi. Si è dunque sperimentato un  nuovo modo di vivere la propria famiglia, i propri affetti, il momento della cena o del pranzo.

Si è ritrovata la bellezza, insomma delle piccole cose e della nuova quotidianità: antidoti questi della paura e dello stress.

Come tutte le cose, anche l’isolamento sociale ha un impatto diverso sulle persone, in relazione al proprio modo di essere e di vivere, tutto dipende da noi: dal modo in cui interpretiamo le cose, dal modo in cui  le viviamo e  spesso tutto questo è influenzato, in qualche modo, dal nostro passato.

Quindi, come accennato poc’anzi, una persona che è “abituata” a stare sola e a vivere nella sua zona comfort, sicuramente non ha vissuto questo isolamento come una minaccia, ma questo non significa che chi ha una vita più frenetica, non possa riuscire ad adattarsi ad una nuova realtà, come questa.

In situazioni limite, il nostro cervello ha tutte “le carte in regole” per reagire e in molti di noi hanno potuto constatarlo, a meno che non si abbia una povertà di risorse personali, a disposizione, che non ci permettono di reagire come dovremmo.

Per chi non è riuscito a fronteggiare una situazione come questa, come abbiamo visto, le motivazioni sono da ricercare in diverse cause: fragilità pregresse, ma anche una malata informazione e una mancata organizzazione, che entro le mura di casa, non hanno potuto che aggravare il tutto.


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