Prendersi cura di sé: tra pandemia e infodemia

Prendersi cura di sé: tra pandemia e infodemia

Prendersi cura di sé in un periodo di vulnerabilità.

Viviamo nel terzo millennio, eppure, nonostante nella storia più recente l’umanità abbia affrontato ben due devastanti guerre mondiali e l’olocausto sanitario dell’epidemia spagnola, oggi ci ritroviamo come impreparati di fronte a quello che viene definito “nemico invisibile”.

È il COVID19, un virus che può essere dovunque e portato da chiunque, ma che, in fondo, non ha un comportamento così diverso da qualsiasi altro microorganismo che, seppur nel suo essere altamente contagioso, per sopravvivere e riprodursi ha bisogno di un organismo all’interno delle cui cellule potersi infiltrare.

Prendersi cura di sé quando il nemico è invisibile

Forse ciò che realmente cambia è, piuttosto, la nostra percezione della realtà: non siamo più abituati alla precarietà dell’esistenza e siamo molto più impreparati alla “vulnerabilità”. L’avvento dello sviluppo scientifico, medico in particolare e del progresso tecnologico, ci hanno in qualche modo pervasi da un senso di onnipotenza e, nella nostra epoca edonistica, ci siamo abituati alla massima libertà, a una frenesia senza limiti in molteplici ambiti, dal lavoro alla vita privata e alle relazioni. Abbiamo rimosso la morte, esportato il male, pensato di essere immuni a oltranza e detenere comunque i mezzi per, in qualche modo, poterci salvare.

Questo nemico invisibile che stravolge la vita di tutti gli esseri umani del pianeta e che ci tiene in ostaggio, ci costringe al distanziamento sociale e persino all’isolamento perché siamo noi stessi il suo veicolo. Non solo siamo in pericolo, ma siamo noi stessi il pericolo. Il fatto stesso che si propaghi per contatto diretto tra esseri umani generando morte, produce sgomento e un ribaltamento totale delle modalità che presiedono la dimensione intersoggettiva, riduce la libertà e stravolge la quotidianità ridimensionando la vita convulsa e gli spazi di azione cui eravamo abituati.

Quali le emozioni generate dalle costrizioni

A causa di queste costrizioni, siamo tutti sottoposti a quella che potremmo definire una “tempesta emotiva”, ovvero un vissuto di emozioni altalenanti quali la sorpresa per l’evento improvviso, l’incertezza per i continui cambiamenti in itinere (le attese sul fronte del vaccino e di farmaci adeguati, l’eventualità della seconda ondata epidemica…), la rabbia soggettiva per quelle limitazioni che non tutti condividiamo, la preoccupazione per i risvolti economici attuali e futuri, la tristezza e il dispiacere per non poter vedere i propri cari e gli amici, la depressione per il vuoto e il senso di impotenza.

Si tratta, sempre e immancabilmente, di emozioni veementi tra cui spesso a prevalere è la paura che, è bene ricordare, è un meccanismo di difesa specie-specifico adattivo, legato al cammino evolutivo dell’uomo. Corrisponde, quindi, ad una risposta sana e razionale all’insorgere di uno stato di pericolo reale. E’ proprio la paura che finora, in questa emergenza, ci ha portati ad adottare e rispettare le regole per la nostra e l’altrui protezione.

Il problema si manifesta quando la paura sfocia in uno stato di angoscia generalizzata, degenerando in gesti e comportamenti irrazionali determinati dal mero istinto liberatorio. Prova ne è quanto recentemente accaduto a seguito dell’istituzione della zona rossa in Lombardia, ove centinaia di persone intimorite dallo spettro dell’isolamento sociale, colte dal panico e incapaci di razionalizzare l’evento, hanno preso d’assalto i treni per fuggire in altre regioni, contribuendo, in tal modo, a diffondere altrove il contagio.

Il fenomeno dell’infodemia

Il timore di essere travolti da un’epidemia accomuna gli esseri umani ed è talmente radicato da poter condurre al compimento di azioni incontrollate. Questa paura atavica può essere oggi favorita dall’infodemia, ovvero dal proliferare della diffusione velocissima e a sua volta “contagiosa”- che in passato non esisteva – di notizie parziali e contraddittorie, quando non addirittura false, che amplifica l’effetto sulla psiche di un fenomeno da sempre esistente.

Allo stesso modo, benché sia normale e comprensibile il voler essere informati per trovare rassicurazione, una cosa è la paura che spinge a capire per mettere in pratica comportamenti idonei e funzionali, un’altra è il lasciarsi sopraffare dall’angoscia primitiva che, dettata dalla circostanza stessa che il virus sia delocalizzato, può indurci a identificare gli altri prevalentemente e/o solamente come un pericolo, come possibili untori. La caratteristica dell’angoscia, infatti, è quella di non avere oggetto: è, diversamente dalla paura, “senza oggetto”.

Siamo da sempre propensi a individuare un nemico esterno, che può di volta in volta coincidere con una differente etnia, un particolare ceto sociale, una diversa ideologia etc. Questo meccanismo porta, tipicamente, al rafforzamento di dinamiche di coesione gruppale. Si produce un comportamento difensivo e questo ci porta facilmente a comprendere come la mancanza di un nemico esterno visibile possa fortemente contribuire ad acuire la percezione della fragilità individuale che può, a sua volta, alimentare un vissuto rilevante di inermità passiva.

Infatti, nel caso della circolazione del virus, la strategia dell’evitamento diventa impraticabile proprio a causa dell’indeterminazione dell’oggetto minaccioso, che può celarsi ovunque: in bocca, nelle mani, negli abiti, nel denaro, sulle maniglie, sui mezzi pubblici. La reale possibilità di contagiare o di essere contagiati, insieme ai dati diffusi sulla mortalità, contribuiscono a giustificare e far emergere senso di solitudine e di impotenza e I’angoscia diventa individuale; in questo periodo si sono realmente determinati un aumento e un potenziamento di comportamenti fobici e ossessivi, di autoisolamento e avversione verso qualsiasi forma di contatto.

Per alcuni soggetti maggiormente a rischio, l’impatto può risultare più traumatico che per altri. Questo spesso si traduce in una vera e propria sindrome da panico legata alla perdita del controllo. Non mancano inoltre tutti quegli effetti fisiologici che possono danneggiare il sistema nervoso autonomo e con le conseguenti ricadute sul piano fisico-metabolico.

Quando le emozioni negative si cronicizzano, si possono avere ripercussioni sia sul piano fisiologico che su quello psicosomatico. Queste contribuiscono, attraverso l’iper-attivazione dell’asse ipotalamo-surrene (che produrrà una quantità maggiore di cortisolo), alla destabilizzazione del sistema immunitario. Si parla propriamente di attivazione del sistema neuropsicoimmunoendocrinologico che, se di per sé si è sviluppato con l’evoluzione sociale dell’uomo al fine di garantirne la sopravvivenza gruppale, può divenire un’arma a doppio taglio quando iper-attivato dallo stress. Questo rischio si ravvisa maggiormente laddove la preoccupazione diventa così eccessiva da impedire di vivere in maniera adeguata, di concentrarsi su qualcosa, di dormire, di mangiare.

Come prendersi cura di sé nel periodo di pandemia

Se in condizioni di questo tipo è assolutamente necessario rivolgersi ai professionisti della salute, quali medici, psicoterapeuti online e dal vivo e psichiatri, come possiamo reagire in generale per contrastare tutto questo?

Innanzitutto, pur mantenendoci aggiornati, è opportuno staccare la spina dal bombardamento di informazioni ansiogene e paradossalmente intrise di appelli a non farsi prendere dal panico. Concedere un po’ di spazio anche all’ironia e all’umorismo, meccanismo di difesa evoluto, aiuta senz’altro a ridurre le tensioni e a sdrammatizzare l’ansia da contagio.

In questo, possiamo contare anche sull’ausilio dei video satirici che ironizzano sul Coronavirus presenti su Whatsapp e sui social network.

Inoltre, per recuperare forza emotiva e mentale, riducendo così la risposta stressogena, è possibile prendersi cura di sé monitorando il proprio livello di attivazione fisiologica. Questo è possibile farlo ad esempio attraverso l’autocontrollo della respirazione, la verifica del livello di idratazione corporea e l’adozione di una alimentazione corretta.

Sicuramente, per aver cura di sé è importante, anche, l’esercizio fisico costante. Questo ci aiuta a mantenere il senso di controllo su di sé, così come il rilassamento. Quest’ultimo facilita la de-fusione cognitiva e che si può attuare attraverso svariate tecniche come la mindfulness, il body scan psicosomatico, lo yoga e simili.

Anche il sonno e la sua qualità devono essere tenuti nella massima considerazione, se ci si vuole prendere cura di sé. Questi possono essere facilitati adottando tutti quegli accorgimenti atti a favorirlo, compresi quei piccoli rituali come ad esempio la tisana e/o la lettura di un buon libro secondo le preferenze individuali.

Ciò che conta, nella cura di sé, è creare una routine, senz’altro per la maggioranza di noi molto diversa da quella precedente. Questo ci permette di rimanere ancorati a noi stessi e di mantenere un certo equilibrio sulla propria vita. Per questo è senz’altro utile suddividere la giornata in slot di attività, inserendovi naturalmente delle pause e mantenendo vivo il rapporto con gli altri attraverso i mezzi digitali abbondantemente a nostra disposizione.

Non possiamo controllare tutto e di certo ne stiamo prendendo maggiore coscienza ma, nella misura in cui riusciamo a mantenere una vita bilanciata, che comprenda, quindi, la cura di sé sia sul piano fisico che su quello psichico, saremo più facilitati nel trovare le risorse per accogliere anche le sensazioni negative senza cercare di evitarle a tutti i costi, accettandole come parte ineludibile della vita.

Ci stiamo avviando, con passo ancora incerto, verso una nuova normalità tutta da scoprire. Una normalità mutevole e in divenire quotidiano che ci pone di fronte all’evidenza di quanto sia ingannevole pensare che tutto tornerà come prima. La vita è dinamica e l’illusione di poterne arrestare il flusso fa a sua volta parte di un pensiero onnipotente. Quello che invece possiamo sempre fare è imparare dall’esperienza.

Se vogliamo cogliere la sfida, abbiamo un’occasione per ricalibrare il nostro assetto razionale, perseguendo un diverso rapporto con i nostri stati emotivi e mentali.

Al di fuori del linguaggio bellico che ci vorrebbe in guerra, siamo piuttosto chiamati a nuove riflessioni nella misura in cui consideriamo questo ostacolo un’opportunità per nuove e diverse convivenze sia tra noi che con un nuovo ospite. Se ci fermiamo a riflettere, i virus, in definitiva, hanno interesse a mantenere vivo il loro ospite. Dobbiamo sperare che anche questo perda la sua aggressività e diventi il quinto coronavirus con cui viviamo da anni senza problemi…in fondo, la speranza è pur sempre un potente farmaco e l’immunità non è soltanto semplice barriera ma anche e comunque una strutturazione del rapporto con l’altro!


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