Sindrome del martire
Vi è mai capitato di sentire parlare della sindrome del martire? Se la risposta è negativa, non temete: cercheremo di capire cos’è e cosa si nasconde dietro questa espressione, per capire come superarla se i primi ad averla siamo noi stessi.
Sindrome del martire: cos’è
Avete presente quelle persone che si sacrificano sempre per gli altri, pur continuando a lamentarsene?
Questo è il caso, per esempio, di quelle mamme che magari lavorano, riordinano la casa, ma allo stesso tempo rinfacciano il tutto ai propri figli e al proprio marito.
Ebbene si: parliamo di quelle persone che in un certo senso mettono sempre gli altri davanti a se stesse, finendo per adottare il ruolo di vittime.
È proprio in questi casi che siamo in presenza della sindrome del martire.
Cosa ne sappiamo da un punto di vista psicologico?
Innanzitutto che chi adotta tale atteggiamento lo fa in modo del tutto volontario, per andare alla ricerca della sofferenza, che porta il martire, paradossalmente, a stare meglio.
Come è possibile, vi starete chiedendo.
In un certo senso, prendersi carico di una sofferenza in questi casi risulta quasi benefico: chi fa questo, lo fa con la convinzione di mettere in atto un gesto di bontà e coraggio ma, in realtà, è solo un modo per ignorare le proprie necessità.
Sindrome del martire: cosa si nasconde dietro?
Il martire ha questa abitudine: mettere le esigenze degli altri davanti alle proprie, non tanto per aiutare davvero l’altro, ma per gioire del fatto stesso di farlo, per gioire della sofferenza che ne deriva: in un certo senso, chi soffre di questa sindrome è convinto di poter ricevere amore incondizionato solo facendo gli eroi.
Ma cosa si nasconde dietro tutto questo?
Solitamente, il martire è una persona che ha avuto alle spalle una famiglia anaffettiva, distaccata e fredda, che si faceva “sentire” solo nei momenti più duri, ovvero solo se soffriva.
Non stupiamoci dunque se da adulti queste persone hanno determinate convinzioni e vivono tutto a metà.
Quali sono i sintomi della sindrome del martire
Chi soffre di questa sindrome tende sempre a lamentarsi, per qualsiasi cosa, anche la più piccola. Seppur questi individui scelgano volontariamente di aiutare gli altri, vivono questo come un peso e ciò non può che arrivare a interferire con il loro umore.
Inoltre, tendono ad auto-elogiarsi: insomma non solo si lamentano, ma tendono ad elogiare la propria persona, facendo riferimento a tutti i sacrifici che hanno fatto per arrivare sin dove sono arrivati. E se qualcuno non lo riconosce? Beh la risposta è la rabbia.
Chi ha questa sindrome, infatti, tende a vivere con rabbia qualsiasi commento fatto sulla propria persona.
Questi individui, inoltre, non sono in grado di delegare: insomma, se qualcuno offre loro una mano per svolgere determinate mansioni, a loro non importa. Rifiutano e vanno avanti.
Chi soffre di questa sindrome ritiene inoltre di essere una brava persona e vede negli altri solo egoismo e ingratitudine tendendo ad esagerare l’intensità della propria sofferenza solo per attirare l’attenzione.
In realtà, questi sono individui con una bassa autostima, che non ritengono di essere persone amabili e, di conseguenza, tendono a sottovalutarsi: per questo spesso e volentieri faticano a dire di no e preferiscono fare mille favori, non facendo nulla per risolvere i loro problemi.
Consigli per chi soffre della sindrome del martire
Partendo dal presupposto che questa è una sindrome che si può riscontrare nella vita di tutti i giorni, se si ritieni di soffrire di questa sindrome, sarebbe bene rivolgersi ad un professionista psicologo online perché buona parte delle nostre convinzioni dipendono dal nostro modo di vedere le cose e dal nostro background di vita che deve necessariamente essere elaborato, per essere affrontato.
D’altronde, a volte basta cambiare punto di vista sulle cose per poter agire diversamente.
Se volessimo dare qualche consiglio a chi è affetto da questa sindrome, cosa potremmo dire? Sicuramente dovremmo fare riferimento al fatto che, per superare un problema, è importante innanzitutto riconoscerlo e poi ammetterlo.
Solo così possiamo cambiare.
Consapevolezza e attenzione per se stessi
Ma soprattutto occorre prendere consapevolezza del fatto che il sentirsi accettati non dipende certamente da ciò che facciamo o no. Non è necessario insomma cercare di soddisfare sempre tutti e tutto.
Nel rapporto con gli altri dovremmo dunque riscoprirci come nuovi: non aspettiamoci che gli altri dicano o facciano qualcosa. La nostra vita dipende solo da noi, non dagli altri, per questo è necessario partire da noi!
Dedichiamo più attenzioni a noi stessi: ritagliamoci dei momenti solo per noi, per rilassarci e coccolarci. Solo così potremo ricaricarci e soprattutto rendere il rapporto con gli altri meno stancante.
Inoltre, prima di dire “si” alla richiesta di qualcuno, fermiamoci un momento a pensare: vogliamo davvero dire di si? Facciamo le nostre valutazioni, essendo però onesti con noi stessi e con gli altri.
Cosa fondamentale se parliamo di questa sindrome, come abbiamo visto, è la nostra autostima.
Secondo Nathaniel Branden “l’autostima è la nostra esperienza di avere le competenze per gestire le sfide tipiche della vita e di essere degni di felicità“. Per questo è importante che vi concentriate su quello che potete fare per migliorarvi.
Se inizierete a fare il primo passo, il secondo verrà da sé e così anche il terzo e così via. In questo modo la vostra autostima non potrà che beneficiarne e voi non potrete che considerare voi stessi maggiormente competenti.
Insomma, la chiave per uscire dalla sindrome del martire sta nell’imparare a:
- smettere di assumere il ruolo di vittime;
- prendersi le proprie responsabilità;
- smettere di lamentarsi.
Pensate questo: ogni volta che perderete il vostro tempo per lamentarvi di qualcosa, starete perdendo un’occasione per concentrarvi su ciò che può essere cambiato.
Ve la sentite davvero di sprecare tutto questo tempo che non tornerà mai più indietro?
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