Trauma cranio-encefalico ed intervento psicologico

Trauma cranio-encefalico ed intervento psicologico

Inquadramento del trauma cranio-encefalico

Per Grave cerebrolesione acquisita (GCA) si intende un danno cerebrale, di origine traumatica o di altra natura, tale da determinare in fase acuta coma grave di almeno 24 ore e menomazioni sensorimotorie, cognitive o comportamentali, tali da comportare disabilità significativa.

Il Trauma cranio-encefalico (TCE) è tra le più frequenti cause di GCA e rappresenta un danno cerebrale di natura non degenerativa né congenita, ma causato da una forza esterna. Tale danno può determinare una riduzione o un’alterazione del livello di coscienza e menomazioni a livello cognitivo, emotivo e fisico. Tali menomazioni possono essere temporanee o permanenti e determinare disabilità parziale o completa e/o adattamento psicosociale. Si tratta di una delle principali cause di mortalità e disabilità nel mondo occidentale (1), con una maggiore prevalenza nella popolazione maschile che femminile (2).

La classificazione generalmente più impiegata per la stadiazione della gravità del TCE è basata sul peggior punteggio della Glasgow Coma Scale (GCS), (3): un punteggio alla GCS compreso fra 15 e 14 indica un TCE lieve; un punteggio compreso fra 13 a 9 indica un TCE moderato e, infine, un punteggio uguale a o minore di 8 è indicativo di TCE grave.

Gli effetti del TCE possono essere molto variabili (4): dal TCE lieve, caratterizzato dal mantenimento dello stato di coscienza o da breve perdita di coscienza o amnesia peri-traumatica, al TCE moderato, con perdita di coscienza di durata maggiore e/o prolungato stato confusionale o amnesico, al trauma grave o maggiore, caratterizzato da un coma più o meno prolungato e gravi lesioni spesso con sequele permanenti.

Un indice fondamentale, da considerare è invece l’eventuale perdita di coscienza in seguito al trauma. La perdita di coscienza rappresenta un indice prognostico negativo: tanto più è prolungata, tanto più la prognosi può essere negativa (4). Sebbene le conseguenze più rilevanti siano secondarie a traumi cranici gravi, è possibile che si instauri una sindrome post-traumatica (per settimane o mesi) anche nei TCE lievi, determinando la presenza di cefalea, vertigini, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, irritabilità, ansia e depressione (4).

È frequente che pazienti traumatizzati attraversino una fase di disturbo cognitivo globale definito amnesia post-traumatica (APT), sperimentando confusione, disorientamento, disturbi nell’immagazzinamento e nel richiamo di informazioni mnestiche. Assieme a questi sintomi possono inoltre essere presenti disturbi comportamentali come apatia, mancanza di iniziativa, irrequietezza, agitazione, aggressività. Dal punto di vista neuro-psicologico, i deficit più frequentemente osservati si osservano a carico dell’attenzione e delle funzioni “frontali”, associandosi talvolta con disturbi comportamentali, tali da impedire la normale ripresa delle attività precedenti al trauma (4). A fianco dei cambiamenti cognitivi, vengono inoltre riportati cambiamenti fisici, fisiologici e psicosociali con devastante impatto su aspetti fondamentali di vita del paziente (5).

Conseguenze psicologiche relate al trauma cranio-encefalico

Stando alla quanto riportato sopra, è possibile apprezzare la complessità e la molteplicità dei quadri clinici che possono conseguire a seguito di un trauma cranio-encefalico e la grande variabilità degli esiti invalidanti a distanza.

Vi sono casi in cui è preponderante un deficit cognitivo selettivo (es. nell’organizzazione della pragmatica della comunicazione) e altri casi in cui si osserva un generale indebolimento nelle capacità di affrontare e gestire le situazioni quotidiane e nello svolgimento delle normali attività. Tale quadro sintomatologico inevitabilmente avrà delle ricadute sul piano relazionale e psicosociale, determinando conseguenze psicologiche importanti come, per esempio, deflessione del tono dell’umore, ansia, insicurezza nelle proprie capacità e conseguente possibile ritiro sociale.

Questi casi, in particolare, appaiono spesso caratterizzati da frammentazione dell’immagine di sé, con deterioramento del senso di identità personale. Sebbene le sequele del trauma cranio-encefalico possano essere eterogenee, è interessante porre l’accento sulla percezione del cambiamento esperita dai pazienti stessi: essi non riportano solo cambiamenti sul piano fisico, cognitivo e comportamentale, bensì anche nella compartecipazione alle attività significative e nei loro ruoli sociali.

Ne consegue allora come il trauma cranio-encefalico sia un evento in grado di alterare significativamente il corso della propria vita, con impatto sull’identità personale (6-7). È chiaro come l’entità di tale impatto sia soppesata da variabili individuali come, per esempio, la consapevolezza dei deficit.

Alcuni studi dimostrano come la consapevolezza di sé sia predittiva di un miglior recupero funzionale nelle attività della vita quotidiana, rimarcando dunque l’importanza di interventi focalizzati per questa dimensione (8). Altri studi invece sottolineano come l’esperienza cosciente del cambiamento nell’identità personale sia positivamente correlata con la presenza di sintomi depressivi e ridotta autostima (9). Lo sviluppo della consapevolezza è inevitabilmente fonte di distress psicologico e può accompagnarsi, dunque, a paura, ansia, dolore e sensazione di vuoto, particolarmente nel confronto fra “la nuova identità”, rispetto a quella premorbosa (10). Ulteriormente, la presenza di deficit neuropsicologici può influire significativamente nella percezione del cambiamento dell’identità personale: basti pensare, per esempio, alle conseguenze che deficit mnesici di natura frontale o deficit più squisitamente esecutivi possono determinare nella normale esperienza della temporalità e dell’intersoggettività.

L’intervento psicologico è dunque possibile?

L’intervento psicologico con il paziente che ha subito un TCE può essere inteso come un percorso di collaborazione fra lo psicologo e il paziente, orientato alla promozione della consapevolezza e dell’adattamento a nuovi modi di fare esperienza di sé. Nel percorso psicologico, è di estrema importanza la definizione del “Chi” (11) ha subito un TCE. Dunque, l’obiettivo del percorso psicologico è di aprire nuove progettualità a partire dalle risorse disponibili, alla luce di una continuità maggiormente identitaria nella propria narrazione personale. Al contempo, tale tipo di intervento non deve essere scisso da una riabilitazione neuropsicologica finalizzata alla compensazione di eventuali difficoltà derivanti dal TCE: è opportuno, infatti, considerare la riabilitazione neuropsicologica come un ulteriore strumento finalizzato all’acquisizione di nuovi modi di fare esperienza.

È indubbio, tuttavia, come tale tipo di terapia non sia appropriata per tutti i tipi di pazienti. Ad esempio, pazienti con severo disorientamento e confusione o disturbi comportamentali beneficeranno maggiormente di interventi basati sul piano pratico-esperienziale, rispetto ad un percorso che richiede maggiore introspezione e maggiori risorse per affrontare le sequele neurologiche.

Bibliografia

  1. Young, J. T., & Hughes, N. (2020). Traumatic brain injury and homelessness: from prevalence to prevention. The Lancet Public Health5(1), e4-e5.
  2. Georges, A., & Booker, J. G. (2020). Traumatic Brain Injury. In StatPearls. StatPearls Publishing.
  3. Teasdale, G., & Jennett, B. (1974). Assessment of coma and impaired consciousness: a practical scale. The Lancet304(7872), 81-84.
  4. Vallar G., & Papagno C. (2011). Manuale di Neuropsicologia clinica, Il Mulino.
  5. Latella, D., Maggio, M. G., De Luca, R., Maresca, G., Piazzitta, D., Sciarrone, F., … & Calabro, R. S. (2018). Changes in sexual functioning following traumatic brain injury: an overview on a neglected issue. Journal of clinical neuroscience58, 1-6.
  6. Ownsworth, T., & Haslam, C. (2016). Impact of rehabilitation on self-concept following traumatic brain injury: An exploratory systematic review of intervention methodology and efficacy. Neuropsychological Rehabilitation, 26(1), 1-35
  7. Caplan, B., Bogner, J., Brenner, L., Beadle, E. J., Ownsworth, T., Fleming, J., & Shum, D. (2016). The impact of traumatic brain injury on self-identity: A systematic review of the evidence for self-concept changes. Journal of head trauma rehabilitation31(2), E12-E25.
  8. Hurst, F. G., Ownsworth, T., Beadle, E., Shum, D. H., & Fleming, J. (2020). Domain-specific deficits in self-awareness and relationship to psychosocial outcomes after severe traumatic brain injury. Disability and rehabilitation, 42(5), 651-659
  9. Carroll, E., & Coetzer, R. (2011). Identity, grief and self-awareness after traumatic brain injury. Neuropsychological rehabilitation21(3), 289-305.
  10. O’Callaghan, C., Powell, T., & Oyebode, J. (2006). An exploration of the experience of gaining awareness of deficit in people who have suffered brain injury. Neuropsychological Rehabilitation, 16(5), 579–593.
  11. Liccione, D. (2019). Psicoterapia Cognitiva Neuropsicologica. Bollati Boringhieri, Torino.

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