I primi robot col cervello biologico
Muffa o Cellule di ratto? A voi la scelta
Due Ricerche per certi versi analoghe ma soprattutto: a chi il primato?
Gordon si muove in maniera autonoma e, riconosce e schiva gli ostacoli. Ma c’è una caratteristica che lo rende unico: è il primo robot al mondo ad avere un cervello biologico. Il suo controllo non avviene attraverso un chip di silicio, ma tramite vere cellule nervose di ratto coltivate in laboratorio.
L’esperimento, che è stato messo a punto nell’università britannica di Reading, verrà presentato sul settimanale New Scientist. L’obiettivo è studiare i meccanismi legati alla memoria: gli studiosi sperano che da questo si possano fare nuove scoperte su malattie come l’Alzheimer, il Parkinson, l’ictus o le conseguenze di lesioni cerebrali.
Il cervello di Gordon, è composto dalle 50mila alle 100mila cellule nervose prelevate da embrioni di ratto. Coltivate in vitro, sono state riprogrammate per essere adattate al robot e disposte all’interno di una matrice con 60 elettrodi in grado di registrare i segnali elettrici delle cellule. Ogni volta che l’automa si avvicina a un oggetto, partono dei segnali inviati per mezzo degli elettrodi. In risposta, il cervello guida le ruote del robot in modo da fargli schivare l’oggetto. Il prossimo obiettivo dei ricercatori è ottenere un cervello in grado di apprendere sulla base di segnali di tipo diverso. In modo da potere osservare, con la progressione dell’apprendimento, la maniera in cui la memoria si manifesta nel cervello ogni volta che il robot rivisita luoghi e situazioni che gli sono familiari.
La cosiddetta “melma policefala” è una muffa melmosa che gode di una pessima fama, tuttavia questo protista riveste un ruolo di grande importanza nel mondo scientifico. Alcuni ricercatori britannici hanno annunciato di voler utilizzare la muffa melmosa nella progettazione di quello che definiscono il primo robot biologico al mondo.
Gli scienziati dell’University of West of England (UWE), a Bristol, hanno presentato “Plasmobot” un robot amorfo biologico, sviluppato senza ricorrere all’uso delle tecnologie del silicio. Il componente principale del progetto da loro sviluppato è appunto la melma policefala, ovvero la forma vegetativa della muffa (Physarum polycephalum). Andy Adamatzkyl, a capo del progetto, ha spiegato che questa muffa aveva dimostrato di poter essere sfruttata nei calcoli computazionali già in occasione di un progetto precedentemente sviluppato dalla stessa équipe. “La maggior parte delle persone è convinta che un computer si componga di una parte di hardware supportata da un software progettato per compiti specifici. Questa muffa è una sostanza naturale dotata di una propria intelligenza“, spiega. “Questa sostanza si propaga alla ricerca di fonti di nutrienti e nel momento in cui le individua si sviluppa in una serie di ramificazioni protoplasmatiche“. “La muffa è in grado di risolvere calcoli computazionali complessi, come, ad esempio, individuare il percorso più breve tra 2 punti“.
Nel corso degli esperimenti precedenti, l’équipe è riuscita a fare in modo che questa muffa potesse essere sfruttata per trasportare oggetti. “Nutrendola con fiocchi di avena sviluppa alcuni tubi che oscillando la fanno muovere in una determinata direzione rendendo possibile che possa trasportare degli oggetti“. “Per direzionare la crescita in un determinato orientamento è inoltre possibile impiegare stimoli di natura luminosa o chimica“.
Il prossimo passo sarà sfruttare la potenza della muffa all’interno del corpo umano. Il trasporto di farmaci in alcuni distretti del corpo umano potrebbe esserne solo un esempio.
“Potrebbero anche essere sviluppati, a partire da questa sostanza, microcomputer in grado di vivere sulla cute umana e di svolgere compiti di routine, in modo tale da liberare il cervello per altre funzioni” ipotizza il professor Adamatzy. “Numerosi scienziati ritengono che possa essere un potenziale sviluppo del calcolo amorfo, sebbene sia ora a uno stadio puramente teorico“.
Piero D’Oro
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