Identità di Genere e Psicoterapia: quando si incontrano?
Chi sono io? L’identità di genere!
Da un punto di vista psicologico, l’identità è un insieme di elementi che collaborano tra loro sempre fluttuante tra stati diversi, è sempre in trasformazione. Allo stesso tempo essa mantiene una sua continuità nella memoria e nella percezione di ognuno di noi.
Secondo Bion, l’individuazione è un processo di condensazione e differenziazione tra il sé e il non sé, nel corso del quale la mente apre e chiude i propri confini individuali.
Schopenhauer scrisse che l’identità troverebbe la sua consistenza nella volontà: “senza volontà non avremmo maggiore coscienza di noi di quanta ne abbia uno specchio sul quale si presentano successivamente ora questa ora quella immagine. La volontà tiene insieme tutte le rappresentazioni come mezzi per i suoi scopi”.
L’identità che il soggetto si attribuisce è un dato di fatto. Le persone tendono a vivere con un senso di sé e del proprio posto nel mondo relativamente stabile pur nei continui cambiamenti che la vita comporta.
Identità di genere: cosa è?
Come altri aspetti dell’identità, lo sviluppo dell’identità di genere per ognuno di noi è regolato da molteplici variabili biologiche psicologiche e socioculturali che si riferiscono al sentimento che la persona ha relativamente al proprio genere, ovvero all’essere maschio, femmina, o una qualsiasi combinazione di queste due possibilità. L’identità di genere si configura come una delle molteplici dimensioni che compongono l’identità personale e la varianza di genere costituisce specifiche declinazioni dell’identità di genere.
Possiamo immaginare l’identità di genere come un continuum ai cui estremi ci sono il maschile e il femminile e tra questi poli una molteplicità di forme che possiamo definire varianza di genere. Per varianza di genere si intende, in altre parole, la non conformità rispetto alle norme culturali che impongono una certa espressione, un certo ruolo e/o una certa identità di genere al maschio e alla femmina.
La consapevolezza di appartenere ad una categoria di genere è un processo. Tuttavia, il fatto che l’identità di genere si strutturi molto precocemente nell’infanzia (all’età di 3 anni la maggior parte dei bambini sa definirsi “maschietto” o “femminuccia“) non implica che le persone con varianza di genere ne abbiano consapevolezza fin da subito. La consapevolezza può manifestarsi anche solo più tardi, per esempio, perché i modelli in cui identificarsi non sono sempre accessibili o sono molto problematici quindi non è possibile il confronto.
E l’identità per strutturarsi ha bisogno del confronto.
La varianza nello sviluppo dell’identità di genere arriva fino alla disforia, ma non si esaurisce di certo in essa.
Nel grande insieme della varianza di genere può esserci incongruenza tra il genere assegnato alla nascita (a partire dai genitali) e la consapevolezza successiva della persona se esso corrisponda o meno al genere che effettivamente si attribuisce. Questa incongruenza può essere vissuta dalla persona con disagio significativo.
Solo in questo caso possiamo parlare di disforia.
Identità e orientamento sessuale sono distinti, ma interrelati.
L’orientamento sessuale è costrutto multidimensionale che può essere fluido, anche nel corso della vita. Tuttavia, l’orientamento omosessuale si comprendere tendenzialmente solo più avanti, nella prima pubertà. L‘identità di genere si comprende precocemente ed è tendenzialmente più stabile nel tempo (recenti studi indicano per esempio una percentuale di pentimento solo dell’ 1% in seguito all’operazione di riassegnazione dell’organo sessuale).
Quando viene chiesto l’aiuto psicologico?
Presupposto di partenza è che se la persona viene in terapia avrà un qualche disagio, ma è fondamentale non associare la varianza di genere al disagio. È bene ricordare che la non conformità di genere differisce dalla disforia di genere. La non conformità di genere, infatti, si riferisce in parte a quell’espressione, ruolo o identità di genere che differisce da determinate norme culturali prescrittive aventi a che fare con il genere e con il sesso (Institute of Medicine, 2011 solo alcune persone gender nonconforming, infatti, esperiscono una disforia di genere).
Disforia di genere è una categoria diagnostica entrata in vigore dal 2013 con la pubblicazione del DSM V. ovvero la quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, uno dei sistemi nosografici dei disturbi mentali più utilizzato al mondo
Indica il disagio e la sofferenza causati dalla discrepanza tra l’identità di genere percepita ed il genere assegnato alla nascita e/o il ruolo di genere associato e/o le caratteristiche sessuali primarie e secondarie.
La disforia di genere (DG) nel DSM V è categorizzata con una differenziazione diagnostica tra la DG nei bambini e DG negli adolescenti e adulti.
Criteri diagnostici comuni e principali sono la presenza di una marcata incongruenza tra genere esperito ed espresso e il sesso assegnato alla nascita, che genera sofferenza – condizione che si deve presentare per almeno sei mesi. Sofferenza che deve essere clinicamente significativa oppure compromissione del funzionamento della persona.
La complessità dell’intervento psicologico con persone presentanti una varianza di genere rende necessaria la presenza di operatori multidisciplinari e di un sistema flessibile per rispondere al meglio alle domande esplicite e implicite portate dalle persone gender variant.
Il termine disforia di genere ha sostituito la vecchia dizione di Disturbo dell’identità di genere, in uso nella quarta edizione anche revisionata del DSM.
In questa versione si assumeva che il disagio risiedesse nell’identità.
Il DSM V fa un grande passo avanti non limitando il genere ad una condizione binaria, ma “ad un genere alternativo rispetto a quello assegnato”, contempla diverse varianti lungo un continuum e chiarisce che il disagio non è in nessun modo associato all’identità ma solo ed unicamente alla disforia, qualora presente.
La disforia può avere basi sociali ed essere associata ad una transfobia interiorizzata, ovvero all’estremo e profondo disagio derivante dall’interiorizzazione delle norme della società riguardanti il genere che porta gli individui a nascondere i propri sentimenti e la propria identità agli altri o addirittura a sviluppare fortemente il diniego allo scopo di conformarsi al binarismo di genere ed evitare stigmatizzazioni.
Distress e compromissione della funzionalità individuale sono molto frequentemente una conseguenza di disapprovazione sociale e stigma. Un vissuto di insoddisfazione e inadeguatezza può essere conseguente ad un ideale di sè ritenuto irraggiungibile in quanto non accettato dal contesto di appartenenza.
Le credenze ingenue spesso implicite che le culture producono su cosa significhi essere femmine o essere maschi, in base anche all’esperire questo ora come attributo personale fondato su basi organiche ora come frutto delle relazioni sociali con gli altri ha finito con l’ipersemplificare la differenza riconducendola ora al dato biologico, ora agli stereotipi sui ruoli sociali appresi.
Un ulteriore elemento di difficoltà può subentrare a causa di una netta cesura tra il passato (per esempio la propria infanzia e adolescenza) e il presente, laddove la persona non senta possibile integrarli.
In sintesi, con il termine Disforia si pone particolare attenzione alla sofferenza conseguente all’incongruenza di genere, al distress.
In assenza di altri elementi che facciano supporre che ci sia un disagio, consideriamo tutte le variabili identitarie come totalmente funzionali e accettabili dalla persona.
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Beatrice Segalini
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