Depressione ingiustizie

Perché c’è chi nella vita riesce e chi no? Mi merito tutto ciò io?

Provo ira, invidia ed una rabbia senza pari, indescrivibile, che mi ha portato a scrivere qui per non commettere gesti di cui possa pentirmi.

Premetto che non sono mai stato particolarmente avvenente nelle materie scolastiche. Non ho mai portato buoni voti a casa sin dalla prima elementare. Certo non ho mai spiccato di intelligenza e non mi reputo chissà quale genio; ho sempre avuto un sogno e più vado avanti e più sembra divenire ciò che è sempre stato… cioè un sogno.

Mi sono impegnato per anni, anni ed anni, ho dato il mio massimo, non sempre, sono pur sempre un essere umano, ma ora mi ritrovo senza nulla. Mi è sempre stato insegnato che con l’impegno tutto è possibile, che tutto si possa raggiungere, ma non mi sembra più così.

All’inizio il mio impegno e le ore passate sui libri non mi costarono grossa fatica, ci stavo, malgrado la noia e la voglia di uscire fuori o riposarmi. Passano gli anni e mi concentro sempre di più per cercare di rimanere il più attento in classe; la cosa mi pesava molto e ogni tanto ci rimanevo decisamente male per i voti riportati nonostante l’impegno.

A forza di rimanerci male andai in depressione, mi fu diagnosticata la depressione e non ci rimasi male, almeno potevo dare un nome alle problematiche che avevo. La depressione mi portò a perdere peso, a tal punto da divenire anoressico. Un giorno ero al bar e non mi ero assolutamente reso conto del calo di pressione, sin quando non mi cominciò a girare la testa e incominciai a vedere i colori sfalsati; racconto questa storia con ironicità, ma così non fu, non riuscivo a parlare, e mi cagai addosso per la perdita del controllo dell’intestino, il corpo non era più mio; volevo chiedere a qualcuno di chiamare un’ambulanza, ma non ce la feci; mio fratello e la gente mi guardava male. Andai a casa trascinandomi su per le scale con le mie ultime forze e dopo un po’ mi ripresi.

Ansia, palpitazione, tic, insonnia, dolore addominale, bruciore di stomaco, perdita di appetito, rifiuto verso il cibo, sudorazione, difficoltà a respirare, sensazione di soffocamento, e infine problemi alla vescica.
I problemi alla vescica mi hanno portato a mettere il catetere per un mese; eravamo a casa da scuola, perciò i compagni non hanno mai saputo niente.

Ho sempre studiato duramente, ma la depressione e lo stress che ne seguiva davano l’effetto contrario, ma io avevo ancora in mente quell’idea in cui con l’impegno tutto è possibile.

Ricordo che a forza di cercare un miglioramento studiai per un po’ con un mio vecchio amico, lui però pigliava buoni voti mentre io solo insufficienze. La cosa mi rode ancora oggi, e mi fa sentire uno stupido.
Dopo il catetere pensavo che le sfortune fossero finite, ma invece la vita desidera tirarti indietro sin che è possibile. Ero in totale depressione, e oramai alla tristezza, alla solitudine e al vuoto che sentivo mi ero abituato, abituato a tal punto che quando arrivarono a dirmi che potevo avere il glaucoma l’ho presa con “serenità”. Scoprii questo problema quando un giorno, seduto a lavorare nei laboratori di informatica, a fine della lezione mi gira la testa e perdo la vista da entrambi gli occhi, non completamente, ma cominciai a vedere sfocato, tanto da non vedere che c’era scritto al pc o al cellulare. La cosa mi capita ogni tanto anche oggi, oggi però non mi prendo più paura.

Gli anni passano e il peso aumenta, ed aumentano con lui anche i pensieri suicidi, perché ero e sono allo stremo. La prima volta che pensai seriamente di togliermi la vita cercai i motivi per cui non farlo; tra i motivi c’era che il suicidio non è la soluzione definitiva a problemi transitori che, se visti in una prospettiva temporale lunga potrebbero apparire banali e poi che mi sarei perso molte cose belle; non ero molto convinto, ma un video, di un uomo senza gambe e senza braccia (Nick Vujicic) mi fece cambiare idea per un po’.

Andai avanti, ma più andavo avanti e più avevo paura per il futuro e più avevo paura e più il desiderio di morire riaffiorava.
Nel frattempo avevo cominciato a scrivermi con una ragazza che con tutta la sua gentilezza e il suo amore mi fece uscire da quel periodo così buio; il covid arrivò in Italia proprio la settimana in cui avevo deciso di suicidarmi; stando a casa ci scrivevamo, e ci siamo scritti e sentiti anche dopo la fine del lockdown.

Ci siamo messi insieme e mi ha sempre rassicurato nonostante tutti i problemi, da quelli famigliari a quelli scolastici. Mi ha supportato dopo il 60/100 che ho preso alla maturità dopo tutto l’impegno, mi ha supportato studiando con me per il tolc (esame per entrare all’università) quasi ogni giorno in estate.

Ho fatto le simulazioni ed ero arrivato ad un punteggio pari a 25, ero molto felice, avevo seguito tutti i consigli che mi avevan dato. Arrivò il giorno dell’esame, dovetti far uscire di casa tutti perché vivo in una casa decisamente piccola con una sola stanza, quindi incominciai a fare l’esame, le domande erano simili a quelle della simulazioni, usai tutto il tempo per riflettere, speravo in un 18 per poter dimostrare a me stesso che l’impegno aveva dato i suoi frutti.

Controllai tutto più e più volte e vidi il voto… 9. Un 9 su 50 domande, neanche un 18. Avevo provato il tolc 2 anni precedenti a questo e presi 6, ancora peggio; pensavo che mi servisse solo più tempo, più impegno, più studio. Oggi non so cosa mi serva.
La mia ragazza lentamente incominciò ad allontanarsi sin quando non ci siamo dovuti lasciare e rimanere migliori amici, è stato davvero terribile.

Ho mandato non so quanti curriculum e feci un colloquio; dopo essersene fregati di me per 2 mesi mi dissero che non potevano dare seguito a’iter di selezione e che tenevano in evidenza il mio profilo.

Oggi ero davvero affranto per la situazione. Mi scrive un mio ex compagno di classe e incominciamo un po’ a chiacchierare; allora viene fuori che un altro nostro ex compagno di classe, uno che era decisamente arrogante, l’hanno preso a lavorare in un’azienda dopo che ha superato il tolc e ha deciso di non andare all’università. Lui neanche voleva andare a lavorare, non aveva mai tenuto in considerazione ciò. Che poi l’hanno chiamato direttamente perché consigliato dai professori, nonostante preferisse andare all’università, difatti rifiutò altre aziende precedentemente a quella. Tutto ciò perché prendeva voti più alti.

Oggi continuo imperterrito a mandare curriculum, neanche alla coop mi hanno accettato; programmo oltre a lavorare professionalmente con Photoshop, Illustrator ed Indesign.
Da poco più di un anno vado in palestra per recuperare ciò che ho perso con l’anoressia e sto pubblicando un libro di economia e politica / filosofia su Amazon. L’ho finito di scrivere proprio oggi con InDesign.

Sempre oggi però ho ricominciato ad avere pensieri suicidi.

Mi sento solo, una solitudine fredda, buia, cupa, che non accenna a svanire. Non mi mancano gli amici, non mi mancano i familiari, mi manca la felicità, il sorriso, la gioia, che per un attimo nella mia vita ho vissuto, quell’attimo in cui ero con quella ragazza e a testa alta studiavo per poter assicurare un futuro non solo a me, ma anche alla mia famiglia che ogni giorno si sbatte per portarmi del cibo.

Di quell’attimo che nella vita sembra tanto fuggente non mi rimane altro che un ricordo ed io aggrappato a quel ricordo piango perché non ho altro da dare, non ho altro da dar che lacrime, lacrime non di gioia, non di tristezza, ma di rassegnazione, rassegnazione del fatto che dopo tutto l’impegno dato nulla mi è rimasto.

Non venitemi a dire che non può peggiorare la situazione o che da questo nulla posso rincominciare a costruire qualcosa di nuovo, perché non ci credo più ormai.  Non venitemi a dire di non arrendermi, perché è quello che ho sempre ripetuto io alle persone e a me stesso, ad un uomo dissi una volta: “provi, cadi, ci riprovi, vinci”; ma non è vero, è una stronzata, non so neanch’io quante volte debba ancora cadere prima  di vincere, prima di prendere quel 18 che altri hanno preso con semplicità e leggerezza.

Non venitemi a dire di non rimanere aggrappato al passato, perché è tutto ciò che mi rimane; perché oltre quella gioia e quella speranza non ricordo altro di bello. Quella gioia e quella speranza mi hanno spinto ad andare avanti per mesi, a mandare curriculum e a non demordere, a non mollare perché magari un giorno chissà si presenterà l’opportunità, l’opportunità di rivivere quella felicità che tanto desiderata quanto fuggevole.

Vorrei essermi suicidato quella settimana, quella in cui il virus comparve per la prima volta, sarebbe tutto finito li. Niente delusioni, niente sofferenze, niente dolori. Provo un dolore così atroce che alla notizia che mia cugina era malata di covid non reagii, perché ormai ho finito di reagire.

Perché c’è chi nella vita riesce e chi no? Mi merito tutto ciò io? Perché? Non lo saprò mai, è come chiedersi perché uno nasce in uno stato in guerra e in povertà e perché l’altro nasca milionario, che senso ha.


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1 Commento
  • Andrea Botti
    Pubblicato alle 15:59h, 10 Ottobre

    Buongiorno.
    Ho letto le sue parole ed i contenuti sono davvero molti. E’ quindi probabile che mi perderò qualche pezzetto in questa risposta.
    Nella parte conclusiva del suo sfogo ho letto più volte la frase “Non venitemi a dire..”. Dentro quelle parole mi è arrivato tanto sconforto e tanta rassegnazione. Sbaglio?
    Eppure se ha scritto questo sfogo qui nel web immagino che le motivazioni fossero due: la prima configurata appunto nello sfogo, la seconda nella speranza di un confronto o di qualche parola che potesse avere un certo effetto.
    La possibilità del suicidio è sempre stata nello sfondo nel racconto della sua vita ed emotivamente più volte arriva in me che ho letto con attenzione le sue parole. Tuttavia il suicidio, che a volte configura forse l’unica alternativa, è anche la massima espressione di rinuncia, rassegnazione, evitamento. In un certo senso è fin troppo comoda e facile come strada da percorrere.
    Se ha scritto quelle parole io mi sento anche di darle una restituzione legata al fatto che il mondo non è bianco o nero.
    Ci sono persone felici che però convivono giorno dopo giorno con delle ferite. Ci sono persone ricche e persone povere. Persone che trovano la loro strada e chi ci mette un pò di più.
    Il rischio dello smarrimento accade proprio nel confronto e nel paragone con l’altro.
    Ma mai come oggi il paragone è finto, perchè se io come autenticità mi paragono all’altro Social, all’altro che vedo fuori, ho già perso. Tutti danno un’immagine fittizia. Nessuno vede cosa c’è dentro.
    E dato che nella sua storia ad un certo punto scatta fuori una direzione, un percorso (Il libro, la grafica) diventa importante dare a questa strada la forma più autentica.
    A volte desideriamo solo arrivare al risultato, ma ci dimentichiamo che il processo ed il percorso che mi ci porta a quel risultato è vita. E vale la pena per tentare di dare a questa vita una forma allineata a noi e non alle aspettative di qualcun altro.
    Vale la pena farsi male e rischiare, se quell’esperienza mi fa sentire vivo.
    Sennò sarò morto ancor prima di togliermi la vita.
    Inoltre dal suo racconto non ho inteso fino in fondo se ha mai deciso di lavorarci su questa depressione.
    Perchè è vero che la depressione è una malattia (e in parte questo le ha tolto responsabilità) ma è anche vero che la depressione si può curare e con tanta fatica e i giusti strumenti addirittura guarire.
    Perciò forse è il caso di iniziare a trovare un significato nelle cose che si fanno con l’aiuto di qualcuno.
    E non mi venga a dire di no dandomi mille giustificazioni per non farlo.
    E non mi venga a dire che no non esistono soluzioni.
    E non mi venga a dire che il suicidio è l’unica via.
    Perchè a volte il nostro modo di vedere le cose è talmente centrato su un percorso che non vediamo gli altri mille.

    I miei migliori auguri.

    Un caro saluto.

    dr Andrea Botti

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